Dieci anni fa i grossi brand rincorrevano i blogger, oggi invece è il turno degli influencer (e quindi in molti sognano di entrare a far parte di questa categoria).
Ma al netto di tutta la fuffa e del cialtronismo presente fra questi personaggi, rimane qualcosa di buono? L’influencer marketing può davvero far crescere la visibilità e il fatturato di una azienda che si rivolge a questi “influenzatori di professione”?
Secondo Jay Baer, sì. E in un suo recente articolo dal titolo The Shocking ROI of Influencer Marketing, ci illustra i 4 motivi per cui l’influencer marketing sta diventando una parte sempre più importante in una strategia di marketing B2C e B2B:
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Oggi viene prodotto un eccesso di contenuti, e riuscire a distinguere il segnale dal rumore è più difficile che mai.
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Il rapido declino della portata organica su Facebook (e ora anche su Instagram) rende molto più complicato promuovere contenuti sui social media.
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Il crescente uso di AdBlock rende l’amplificazione di contenuti tramite annunci pubblicitari display (e il remarketing) meno appealing.
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I consumatori si fidano molto più dei consigli e delle raccomandazioni di altre persone, rispetto alle varie forme di pubblicità e promozione dei brand.
L’INFLUENCER MARKETING NON È UNA NOVITÀ
L’idea di poter utilizzare la celebrità e/o la credibilità di qualcuno per aumentare l’awareness o spingere le vendite un certo prodotto/servizio risale attorno al 1760, quando Robert Wedgewood (dell’omonima manifattura inglese di ceramiche fini e servizi da tè) ha iniziato ad utilizzare l’endorsement da parte dei membri della famiglia reale per aumentare le vendite dei suoi prodotti.
Se è vero che le premesse di base e i meccanismi che regolano l’influencer marketing non sono mai cambiati, dobbiamo però considerare che oggi è cambiato il numero di persone in grado di influenzarne altre, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione. Ed è anche possibile misurare un po’ meglio l’impatto che hanno questi influencer sulla gente comune.
COME SI MISURA L’INFLUENCER MARKETING?
Sappiamo che l’online marketing è (solitamente) molto più misurabile di quello offline, ma quando si tratta di calcolare il ROI di certe attività su Internet, e nello specifico quelle collegate ad attività effettuate da influencer, le cose si complicano parecchio.
Nielsen Catalina Solutions (una società di ricerca che si occupa di tracciare acquisti di cibo e generi alimentari) ha studiato attentamente i risultati di una azione di influencer marketing effettuata da White Wave Foods, azienda che produce (fra le altre cose) il Silk Almond Milk, un particolare latte di mandorla.
L’agenzia TapInfluence ha coinvolto 258 influencer nell’ambito fitness e food, ai quali è stato chiesto di creare dei contenuti per l’iniziativa “Meatless Mondays” (slogan traducibile in “I Lunedì Senza Carne”). I contenuti sono stati amplificati sui profili social degli influencer, ma solo organicamente (=non è stato utilizzato alcun paid media).
Tutto è stato supervisionato (tramite la piattaforma proprietaria di TapInfluence) e tracciato (tramite un pixel di tracciamento di Nielsen Catalina Solutions). I risultati sono stati notevoli.
L’Influencer Marketing ha prodotto un ROI di 11 volte superiore a quello dei banner pubblicitari.
Più nel dettaglio:
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Le famiglie esposte all’influencer marketing hanno comprato il 10% in più del prodotto rispetto al control group.
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Ogni 1.000 persone che hanno visualizzato le azioni degli influencer hanno acquisto 285 dollari di prodotto in più rispetto al control group.
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Il ROI dei soli post del blog (senza includere la promozione sui social) è stato di 11 volte superiore al ROI dei banner pubblicitari, dopo 12 mesi.
3 ALTRI BENEFICI DELL’INFLUENCER MARKETING
Oltre al ROI, l’azione ha portato 3 altri ottimi risultati al brand in questione.
Primo, un enorme numero di impression (più di 1,2 milioni) provenienti (principalmente) da SEO organico e Pinterest. E questi visitatori continuano a crescere di giorno in giorno, anche se le azioni degli influencer sono ormai terminate da tempo.
Secondo, il potenziale del riuso. Gli influencer hanno creato un gran quantità di ottimi contenuti che possono essere riutilizzati dal brand che ha commissionato l’iniziativa sui suoi canali social.
Terzo, i costi relativamente bassi. Fare campagne pubblicitarie online, via TV o outdoor, può richiedere investimenti notevoli. In un programma di influencer marketing come quello esposto qui sopra, i “costi creativi” sono invece totalmente sulle spalle degli influencer stessi.
CONCLUSIONE
Nel suo post Jay Baer mostra il lato positivo dell’influencer marketing, ma a mio parere non dobbiamo mai dimenticare che:
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La popolarità è diversa dall’autorevolezza, la visibilità è diversa dal saper fare: le 2 cose possono combaciare (raramente), ma più spesso chi è popolare è solo molto più bravo di altri a stare sul palcoscenico raccontando storie che la massa ama e vuole sentir raccontare, rispetto a chi racconta verità scomode (o rispetto a chi non parla del tutto, e preferisce essere invisibile). Non è proprio come la regola del “chi sa fare fa“, ma ci siamo capiti.
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Gli influencer non possono promuovere e smarchettare a destra e a manca ogni genere di prodotto o servizio. Come diceva Seth Godin, più un “snarnutatore” starnuta, più perde potere. E quindi deve scegliere con cura come e quando starnutire. O meglio, un vero influencer non dovrebbe mai starnutire per soldi, o su richiesta di qualcuno.
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Gli influencer dovrebbero avere un’etica di notevole spessore, superiore alla media:“Da un grande potere derivano grandi responsabilità”, diceva Ben Parker. Se noti che le persone ti seguono, ti imitano e fanno qualsiasi cosa tu dici loro di fare, non dico che devi guidarli verso la salvezza eterna delle loro anime, ma evita almeno di portarli dentro al fosso (stile pifferaio magico) o di togliere dalle loro tasche i pochi soldi che hanno (stile finti santoni che predicano la povertà ma poi girano in Rolls-Royce).